La proposizione di un appello, a quadro giurisprudenziale stabilizzato, con scarse o nulle possibilità d'essere accolto, in quanto contrastante con la giurisprudenza di legittimità consolidata con argomenti dalla stessa già disattesi, configura un abuso del processo che legittima la condanna prevista dall'art.96, terzo comma, c.p.
Cass. civ. Sez. III, Ord., (ud. 12/01/2023) 09-03-2023, n. 7094
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCRIMA Antonietta - Presidente -
Dott. DELL'UTRI Marco - Consigliere -
Dott. ROSSETTI Marco - Consigliere -
Dott. TATANGELO Augusto - Consigliere -
Dott. Spa ZIANI Paolo - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 12266/2022 R.G., proposto da:
A.A., + Altri Omessi in qualità di erede di B.B., elettivamente domiciliati in Roma, Via Domenico Chelini n. 5, presso lo Studio dell'Avvocato Marco Tortorella che li rappresenta e difende;
-ricorrenti-
contro
Ministero della Salute, Ministero dell'Economia e delle Finanze, Ministero dell'Istruzione, dell'Università e Ricerca, in persona dei rispettivi Ministri pro tempore; Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro tempore; domiciliati ex lege in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato da cui sono difesi per legge;
-controricorrenti - avverso la sentenza n. 7312/2021 della CORTE di APPELLO di ROMA, depositata il 5 novembre 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12 gennaio 2023 dal Consigliere Relatore, Paolo Spa ZIANI.
Svolgimento del processo
1. I ricorrenti indicati in epigrafe convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, la Presidenza del Consiglio di Ministri, il Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, il Ministero della Salute ed il Ministero dell'Economia e delle Finanze, deducendo che:
- erano tutti medici titolari di diplomi di specializzazione, immatricolati negli anni 1991-2005, ed avevano percepito gli emolumenti di cui al D.Lgs. n. 257 del 1991 art. 6, attuativo delle direttive nn. 75/362/CEE, 75/363/CEE, 82/76/CEE, riguardanti la formazione dei medici specialisti e i corsi per il conseguimento dei relativi diplomi;
- questa norma, nello stabilire per gli specializzandi un trattamento di Lire 21.500.000 annuali, aveva prescritto anche che esso doveva incrementarsi al tasso annuale di inflazione e rideterminarsi ogni triennio con decreto ministeriale, ma tali prescrizioni erano restate inapplicate per effetto del "blocco" previsto da disposizioni normative sopravvenute;
- successivamente, il D.Lgs. n. 368 del 1999 - di recepimento, tra l'altro, della direttiva 93/16/CE - aveva previsto (artt. 37 e ss.) che all'atto di iscrizione alle scuole di specializzazione fosse stipulato un contratto annuale di formazione lavoro, rinnovabile di anno in anno e di durata pari a quella del corso di specializzazione, con attribuzione di un trattamento economico annuo più alto di quello contemplato dalla legislazione precedente, da determinarsi ogni anno con decreto ministeriale; questa previsione, però, aveva avuto effettiva attuazione solo con l'art. 1, comma 300, della L. 23 dicembre 2005, n. 266, con decorrenza dall'anno accademico 2006-2007.
Sulla base di queste deduzioni, gli attori domandarono la condanna delle amministrazioni convenute, in solido tra loro, al risarcimento del danno per la tardiva trasposizione nei loro confronti delle direttive e sentenze comunitarie, danno da liquidarsi nella somma di Euro 20.000,00 per ogni anno di specializzazione svolto o in quella maggiore o minore ritenuta di giustizia, da determinarsi in corso di causa, pure in via equitativa, anche in relazione alla "mancata applicazione dei benefici economici e contributivi ex D.Lgs. n.368 DEL 1999, artt. 34 e seguenti e successive modificazioni, nonchè previsti dai Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri del 3 marzo, 6 luglio, 2 novembre 2007 e successivi, attuativi della indicata normativa".
Gli attori domandarono, altresì, la condanna delle amministrazioni convenute al pagamento, anche a titolo di risarcimento del danno, della somma corrispondente alla differenza tra quanto effettivamente percepito in dipendenza della frequenza al corso di specializzazione svolto e quanto avrebbero dovuto percepire ove gli importi fossero stati incrementati secondo il tasso annuale di inflazione, ai sensi del D.Lgs. n. 257 del 1991, nonchè della somma corrispondente alla differenza tra quanto effettivamente percepito in dipendenza della frequenza al corso di specializzazione svolto e l'importo che avrebbero percepito ove fosse stata applicata la rideterminazione triennale prevista in funzione del miglioramento tabellare minimo di cui alla contrattazione collettiva relativa al personale medico dipendente del Servizio Sanitario Nazionale, ovvero nella maggiore o minore somma da determinarsi in corso di causa e ritenuta di giustizia anche in via equitativa, oltre rivalutazione monetaria ed interessi maturati e maturandi.
2. Il Tribunale di Roma rigettò le domande e la Corte di appello di Roma ha respinto l'impugnazione interposta dagli attori soccombenti, condannando anche ciascuno di essi al pagamento della somma equitativamente determinata di Euro 1.000,00, ex art. 96, comma 3, c.p.c..
3. I medici indicati in epigrafe propongono ricorso per cassazione sorretto da tre motivi.
Resistono con un unico controricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero della Salute, il Ministero della Istruzione, dell'Università e della Ricerca ed il Ministero dell'Economia e delle Finanze, formulando anche domanda di risarcimento del danno per lite temeraria.
4. La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell'art. 380-bis.1 c.p.c. Il pubblico ministero non ha presentato conclusioni scritte.
Non sono state depositate memorie.
Motivi della decisione
1.1. Con il primo motivo viene denunciata "violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di risarcimento del danno derivante da omesso e/o tardivo recepimento di direttive comunitarie nonchè degli artt. 5 e 189 del Trattato CEE, delle Direttive 75/362/CEE, 75/363/CEE, 82/76/CEE, 93/16/CEE e 05/36/CE, dell'art. 10 Cost., degli artt. 1, 10, 11 e 12 delle preleggi c.c., dell'art. 6 del D.lgs. 8 agosto 1991, n. 257, dell'art. 11 della L. n. 370/99, degli artt. 37, 38, 39, 40, 41, 45 e 46 del D.lgs. del 17 agosto 1999, n. 368, dell'art. 8 D.Lgs. n. 21 dicembre 1999, n. 517 e dell'art. 1, L. 23 dicembre 2005, n. 266".
I ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che la disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 368/1999 - fonte di attuazione della direttiva 93/16/CEE - sia il risultato di una scelta discrezionale riservata esclusivamente al legislatore nazionale, escludendo, di conseguenza, la possibilità di un sindacato giurisdizionale in ordine all'adeguatezza della retribuzione corrisposta sino agli anni 2005-2006.
Deducono che il principio di "adeguata remunerazione", posto dalle direttive comunitarie, trovava fondamento nell'esigenza di garantire ai medici specializzandi la possibilità di dedicare alla formazione tutta la propria attività professionale, sicchè il legislatore interno, pur nell'ambito della propria discrezionalità, aveva l'obbligo di preservare nel tempo il carattere adeguato della remunerazione in modo che essa potesse assolvere alla funzione assegnatale dalle fonti Europee.
Osservano che, poichè l'art. 6 del D.Lgs. n. 257 del 1991 aveva previsto meccanismi per la difesa del potere di acquisto delle borse di studio quali parti essenziali della disciplina di recepimento della direttiva 82/76/CEE, la limitazione di tali strumenti - ad opera di numerosi interventi legislativi a partire dal 1992 e sino al 2006 - avrebbe comportato, di fatto, un successivo inadempimento dello Stato italiano all'obbligo di recepimento delle direttive comunitarie sotto il profilo della "adeguata remunerazione".
Sostengono, in sostanza, che soltanto con l'integrale attuazione del D.Lgs. n. 368 del 1999 sarebbe stato pienamente recepito il contenuto delle direttive dell'Unione Europea circa l'equa remunerazione dei medici specializzandi, cosicchè il parametro di riferimento, ai fini della determinazione del danno, avrebbe dovuto essere individuato nel trattamento economico da esso stabilito, con il quale si era preso atto della sopravvenuta inadeguatezza di quello previsto dal D.Lgs. n. 257 del 1991.
1.2. Con il secondo motivo viene denunciata "violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di risarcimento del danno derivante da omesso e/o tardivo recepimento di direttive comunitarie, nonchè degli artt. 5 e 189 del Trattato CEE, delle Direttive 75/362/CEE, 75/363/CEE, 82/76/CEE, 93/16/CEE e 05/36/CE, dell'art. 10 Cost., degli artt. 1,10,11 e 12 preleggi c.c., dell'art. 6 del D.lgs. 8 agosto 1991, n. 257, dell'art. 11 della L. n. 370/99, degli artt. 37, 38, 39, 40, 41, 45 e 46 del D.lgs. del 17 agosto 1999, n. 368, dell'art. 8 D.Lgs. n. 21 dicembre 1999, n. 517 e dell'art. 1, L. 23 dicembre 2005, n. 266, dell'art. 7, comma 5, prorogato fino al 31 dicembre 2005 per effetto degli artt. 3, comma 36, l. n. 537 del 1993, 1, comma 33, L. n. 549 del 1995, 22, L. n. 488 del 1999 e 36, L. n. 289 del 2002, dell'art. 1, comma 33, L. n. 549 del 1995 e dell'art. 112 c.p.c.".
Sul presupposto che, in base all'art. 6, comma 1, del D.Lgs. n. 257 del 1991, ai titolari delle relative borse di studio sarebbero spettati sia l'indicizzazione annuale in base al tasso programmato di inflazione che la rideterminazione triennale in funzione del miglioramento tabellare minimo di cui alla contrattazione collettiva del personale medico dipendente del Servizio Sanitario Nazionale, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata nella parte in cui ha rigettato la domanda di condanna delle amministrazioni convenute alla corresponsione degli importi relativi, per i periodi dal 1992 al 2006.
2. I ricorrenti formulano anche un'istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, perchè chiarisca se, in base alla direttiva 82/76/CEE, sussisteva non solo l'obbligo dello Stato di determinare discrezionalmente l'importo dell'adeguata remunerazione dei medici specializzandi ma anche quello di mantenere nel tempo tale adeguatezza, preservandone il potere di acquisto.
3. I ricorrenti sottolineano, inoltre, la posizione assunta dalla Commissione Europea nel procedimento C-590-20, esitato nella sentenza 3 marzo 2022 della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, a seguito della quale il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva comunitaria n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, è stato riconosciuto anche in favore di soggetti iscritti a corsi di specializzazione negli anni accademici anteriori al 1982-1983, sebbene a partire dal primo gennaio 1983 (cfr. Cass., Sez. Un., 23/06/2022, n. 20278).
I ricorrenti evidenziano, al riguardo, che, sebbene tale procedimento fosse circoscritto ai medici iscritti a corsi di specializzazione anteriormente al 1982, tuttavia la Commissione Europea avrebbe espresso la posizione più generale secondo cui il risarcimento del danno dovrebbe comprendere anche gli interessi e la rivalutazione monetaria, sicchè sarebbero in contrasto con le norme Eurounitarie le disposizioni nazionali che escludono il pagamento di importi per tali titoli.
Soggiungono che i rilievi della Commissione Europea sarebbero stati raccolti dall'ordinanza interlocutoria del 20 aprile 2022, n. 12664 della Sezione Prima di questa Corte, che ha rimesso alla pubblica udienza la trattazione di un ricorso proposto da medici iscritti ai corsi di specializzazione negli anni successivi all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 257 del 1991 (dunque, in fattispecie sovrapponibile a quella in esame) proprio in relazione alla questione della spettanza o meno degli importi pretesi a titolo di rivalutazione e interessi.
4. Il primo motivo è inammissibile ai sensi dell'art. 360-bis n. 1 c.p.c., posto che sul punto la giurisprudenza di questa Corte è ormai da tempo consolidata.
4.1. Preliminarmente giova ricordare alcuni fondamentali passaggi dell'articolata evoluzione normativa sulla materia.
Con l'art. 6 del decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257, il legislatore italiano, dando attuazione, sia pure tardivamente, al disposto della direttiva n. 82/76/CEE del Consiglio, stabilì in favore dei medici ammessi alle scuole di specializzazione una borsa di studio determinata per l'anno 1991 nella somma di lire 21.500.000.
Tale somma era destinata ad un incremento annuale, a decorrere dal 1 gennaio 1992, sulla base del tasso programmato di inflazione, incremento fissato ogni triennio con decreto interministeriale.
Il meccanismo di adeguamento venne peraltro bloccato successivamente, con effetto retroattivo, dalla L. 28 dicembre 1995, n. 549, passata indenne al vaglio della Corte costituzionale (sentenza n. 432 del 1997), e da altre leggi successive (v. sul punto, ampiamente, Cass. 23/02/2018, n. 4449).
In seguito, dando attuazione alla direttiva n. 93/16/CE, il legislatore nazionale intervenne sulla materia con il decreto legislativo 17 agosto 1999, n. 368. Questo decreto legislativo - poi ampiamente modificato dall'art. 1, comma 300, della L. 23 dicembre 2005, n. 266 - riorganizzò l'ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, istituendo e disciplinando un vero e proprio contratto di formazione (inizialmente denominato "contratto di formazione-lavoro" e poi "contratto di formazione specialistica": art. 37 D.Lgs. cit.), da stipulare e rinnovare annualmente tra Università (e Regioni) e medici specializzandi, con un meccanismo di retribuzione articolato in una quota fissa ed in una quota variabile, in concreto periodicamente determinate da successivi decreti ministeriali (art. 39 D.Lgs. cit.).
Detto contratto, peraltro, come la Sezione Lavoro di questa Corte ha ribadito in plurime occasioni, non dà luogo ad un rapporto inquadrabile nell'ambito del lavoro subordinato, nè è riconducibile alle ipotesi di parasubordinazione, non essendo ravvisabile una relazione sinallagmatica di scambio tra l'attività degli specializzandi e gli emolumenti previsti dalla legge, restando conseguentemente inapplicabili l'art. 36 della Costituzione e il principio di adeguatezza della retribuzione ivi contenuto (in tal senso, sulla scia di un consolidato orientamento, Cass. 27 luglio 2017, n. 18670).
Peraltro, il nuovo meccanismo retributivo di cui al D.Lgs. n. 368 del 1999 divenne operativo solo a decorrere dall'anno accademico 20062007 (art. 46, comma 2, D.Lgs. cit., nel testo risultante dalle modifiche introdotte prima dall'art. 8 del decreto legislativo 21 dicembre 1999, n. 517, e poi dal già citato art. 1, comma 300, della L. n. 266 del 2005); mentre le disposizioni del D.Lgs. n. 257 del 1991 rimasero applicabili fino all'anno accademico 2005-2006.
Il trattamento economico spettante ai medici specializzandi in base al contratto di formazione specialistica fu poi in concreto fissato con i d.P.C.M. 7 marzo, 6 luglio e 2 novembre 2007.
4.2. Tutto ciò premesso, la delibazione dei motivi di ricorso postula la soluzione di tre questioni strettamente connesse tra loro: a) se la direttiva n. 93/16/CE abbia avuto o meno una portata innovativa rispetto a quanto stabilito dalle precedenti direttive n. 75/362/CEE, n. 75/363/CEE e n. 82/76/CEE; b) se il concetto di retribuzione adeguata sia mutato nel passaggio dalle precedenti alla più recente direttiva; c) se e quando lo Stato italiano abbia adempiuto all'obbligo di garantire ai medici specializzandi una retribuzione adeguata.
Queste questioni sono state già numerose volte affrontate da questa Corte (ex multis, Cass. 14/03/2018, n. 6355; Cass. 28/06/2018, n. 17051; Cass. 27/02/2019, n. 5698; Cass. 15/10/2019, n. 26074; Cass. 28/02/2020, n. 5455; Cass. 06/03/2020, n. 8503; Cass. 12/11/2020, n. 25463; Cass. 02/01/2021, n. 1114; Cass. 17/11/2021, n. 34882; da ultimo, tra le altre, Cass. 16/09/2022, n. 27287 e Cass. 05/12/2022, n. 35623), la quale, in relazione a fattispecie perfettamente sovrapponibili a quella in esame, è pervenuta a conclusioni che possono dirsi oramai consolidate ed alle quali il collegio intende dare piena e convinta continuità.
4.3. Al riguardo si è incisivamente evidenziato (cfr., da ultimo, Cass. 16/09/2022, n. 27287 e Cass. 05/12/2022, n. 35623, citt.) - e va qui ribadito - che la direttiva n. 93/16/CE, come risulta dalla sua stessa formulazione (cfr. il primo Considerando) non ha una portata innovativa, prefiggendosi soltanto l'obiettivo, "per motivi di razionalità e per maggiore chiarezza", di procedere alla codificazione delle tre suindicate direttive "riunendole in un testo unico"; il che risulta ancor più evidente per il fatto che la direttiva in questione lascia "impregiudicati gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini per il recepimento delle difettive" di cui all'allegato III, parte B (così l'ultimo dei Considerando).
E' opportuno ricordare, del resto, che il termine "adeguata rimunerazione" compare per la prima volta nell'Allegato alla direttiva n. 82/76/CEE e si ritrova, senza alcuna modificazione, nell'Allegato I alla direttiva n. 93/16/CE; pertanto, è dalla scadenza del termine di adempimento della direttiva del 1982 che l'esigenza di tale adeguatezza divenne regola di obbligatorio recepimento nel diritto interno.
Tuttavia, lo Stato italiano aveva adempiuto al proprio obbligo di fissazione di una adeguata rimunerazione già con l'art. 6 del D.Lgs. n. 257 del 1991; la normativa dell'Unione Europea, infatti, non contiene, nè potrebbe essere diversamente, alcuna definizione di quale sia la rimunerazione adeguata, la cui soglia deve essere fissata dagli Stati membri nell'esercizio della propria discrezionalità, la quale trova un invalicabile limite anche nelle esigenze di contenimento della spesa pubblica.
Come ha efficacemente spiegato la citata sentenza 23/02/2018, n. 4449 della Sezione Lavoro di questa Corte, il legislatore, "nel disporre il differimento dell'applicazione delle disposizioni contenute negli artt. da 37 a 42 (del D.Lgs. n. 368 del 1999) e la sostanziale conferma del contenuto del D.Lgs. n. 257 del 1991, ha esercitato legittimamente la sua potestà legislativa (Cass. 15362/2014), non essendo vincolato a disciplinare il rapporto dei medici specializzandi secondo un particolare schema giuridico nè ad attribuire una remunerazione di ammontare preindicato (cfr. punti nn. 23 e 24 di questa sentenza). Nè vale argomentare che lo stesso legislatore italiano, intervenendo in materia, ha modificato la legislazione del 1991 con l'introduzione di una nuova normativa nel 1999 incentrata sullo schema della formazione-lavoro; anche ammettendo che il nuovo sistema sia più congeniale a disciplinare la specifica condizione dei medici specializzandi, non può desumersi dalla sola successione di leggi diverse che la precedente disciplina non fosse idonea in ordine al recepimento delle direttive ed a dare effettiva tutela al diritto ivi affermato dell'adeguata retribuzione".
In altri termini, il "nuovo ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia introdotto con il D.Lgs. n. 368 del 1999 (a decorrere dall'anno accademico 2006/2007, in base alla L. n. 266 del 2005), e il relativo meccanismo di retribuzione, non possono... ritenersi il primo atto di effettivo recepimento ed adeguamento dell'ordinamento italiano agli obblighi derivanti dalle direttive comunitarie, in particolare per quanto riguarda la misura della remunerazione spettante ai medici specializzandi, ma costituiscono il frutto di una successiva scelta discrezionale del legislatore nazionale, non vincolata o condizionata dai suddetti obblighi" (Cass. 14/03/2018, n. 6355).
Deve dunque ritenersi che l'inadempimento dell'Italia agli obblighi comunitari, sotto il profilo in esame, è cessato con l'emanazione del D.Lgs. n. 257 del 1991, come del resto la Corte di giustizia dell'Unione Europea ha già da tempo affermato (v. le sentenze 25 febbraio 1999, in causa C-131/97, Carbonari, e 3 ottobre 2000, in causa C-371/97, Gozza); il D.Lgs. n. 368 del 1999 è invece intervenuto in un ambito di piena discrezionalità per il legislatore nazionale.
4.4. Alla luce di quanto si è detto, risulta evidente che non vi è alcuno Spa zio per invocare ipotetiche violazioni del diritto dell'Unione Europea e che ogni questione non può che riguardare "esclusivamente l'ordinamento interno" (così Cass. n. 6355 del 2018).
Nè possono ravvisarsi margini per un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia U.E. atteso che, come già evidenziato, "nella disciplina comunitaria non è rinvenibile una definizione di retribuzione adeguata, nè sono posti i criteri per la determinazione della stessa" (Cass. 19/10/2022, n. 30793; 18/10/2022, n. 30700; 18/10/2022, n. 30508), sicchè è compito del legislatore nazionale determinare "nell'esercizio della propria discrezionalità quale sia la remunerazione adeguata (Cass. 24/10/2022, n. 31311; 18/10/2022, n. 30710; 18/10/2022, n. 30506).
La domanda proposta dai ricorrenti è, dunque, finalizzata, ad ottenere l'applicazione retroattiva del D.Lgs. n. 368 del 1999 o comunque a neutralizzare le regole che ne avevano disposto l'efficacia differita. In proposito, osserva peraltro il Collegio che il differimento dell'entrata in vigore della normativa di cui al D.Lgs. n. 368 del 1999 - che è una normativa più favorevole - rientrava nella discrezionalità del legislatore, sicchè la circostanza che essa sia entrata in vigore a partire dal 2007 non solo non ha potuto determinare alcuna situazione di tardivo recepimento del diritto comunitario, ma nemmeno ha violato l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della ragionevolezza, in quanto una normativa di favore e migliorativa rispetto ad una vigente può essere fatta entrare in vigore dal legislatore nazionale nel momento in cui, secondo la discrezionalità che gli appartiene, egli lo reputi opportuno. Non si pone, perciò, alcuna questione di rinvio pregiudiziale e nemmeno alcuna questione di costituzionalità di diritto interno.
4.5. Sintetizzando tutto quanto si è andato dicendo, possono ribadirsi i seguenti principi:
- le direttive n. 75/362/CEE, n. 75/363/CEE e n. 82/76/CEE, le quali hanno prescritto che i medici specializzandi dovessero ricevere un'adeguata remunerazione, sono state attuate dallo Stato italiano con il D.Lgs. n. 257 del 1991, con il riconoscimento di una borsa di studio annua;
- la successiva direttiva n. 93/167CEE ha rappresentato un testo meramente compilativo, di coordinamento e aggiornamento delle precedenti disposizioni comunitarie già vigenti e, quindi, privo di carattere innovativo, con riguardo alla misura dei compensi da riconoscere agli iscritti alle scuole di specializzazione;
- quest'ultima direttiva è stata recepita in Italia dal D.Lgs. n. 368 del 1999 che, dal momento della propria applicazione, avvenuta a partire dall'anno accademico 2006-2007, ha riorganizzato l'ordinamento delle scuole universitarie di specializzazione in medicina e chirurgia, istituendo un contratto di formazione da stipulare e rinnovare annualmente tra le Università (e le Regioni) e i detti specializzandi, con un meccanismo articolato in una quota fissa ed in una variabile;
- in relazione agli anni accademici anteriori al 2006-2007, è rimasta operativa la sola disciplina del D.Lgs. n. 257 del 1991, poichè la menzionata direttiva n. 93/16/CEE non ha introdotto alcun nuovo e ulteriore obbligo con riferimento alla misura della borsa di studio di cui alla normativa del 1991.
Dal riferito consolidato orientamento la Corte non ritiene di doversi discostare non essendo stati portati con il motivo in esame - di cui si conferma pertanto l'inammissibilità - elementi che inducano a modificarlo.
5. Del pari inammissibile, sempre ai sensi dell'art. 360-bis n. 1 c.p.c., è il secondo motivo, posto che anche sull'insussistenza del diritto all'indicizzazione annuale e alla rideterminazione triennale del trattamento previsto dall'art. 6 del D.Lgs. n. 257 del 1991, la giurisprudenza di questa Corte è ormai da tempo consolidata.
E' stato infatti più volte affermato che l'importo delle borse di studio dei medici specializzandi iscritti ai corsi di specializzazione negli anni accademici dal 1998 al 2005 non è soggetto ad indicizzazione nè all'adeguamento triennale previsto dall'art. 6, comma 1, del d. lgs. n. 257 del 1991, in quanto l'art. 32, comma 12, della L. n. 449 del 1997, con disposizione confermata dall'art. 36, comma 1, della L. n. 289 del 2002, ha consolidato la quota del Fondo sanitario nazionale destinata al finanziamento delle borse di studio ed escluso integralmente l'applicazione del citato art. 6 (Cass. 27/07/2017, n. 18670; Cass. 23/02/2018, n. 4449; Cass.20/05/2019, n. 13572; Cass.21/01/2021, n. 1114; da ultimo Cass.26/07/2022, n. 23349 e Cass.16/09/2022, n. 27287).
Il blocco di tale incremento - si è evidenziato - non può dirsi irragionevole, iscrivendosi in una manovra di politica economica riguardante la generalità degli emolumenti retributivi in senso lato erogati dallo Stato (Cass., Sez Un., 16/12/2008, n. 29345; Cass. 15/06/2016, n. 12346; Cass. 23/02/2018, n. 4449, Cass. 19/10/2020, n. 22633, Cass. 01/04/2021, n. 9104; Cass. 22/03/2022, n. 9215).
Da tale consolidato orientamento la Corte non vede ragioni di discostarsi nè la doglianza in esame - di cui si conferma l'inammissibilità - ha addotto elementi che inducano a modificarlo.
5.1. In particolare non appare rilevante, in tal senso, l'eccentrico rilievo, formulato in ricorso, secondo il quale la Commissione Europea avrebbe stigmatizzato la contrarietà al diritto comunitario di norme nazionali che precludono il pagamento di somme a titolo di interessi o rivalutazione, essendo sufficiente rilevare, al riguardo, che il procedimento in cui tale posizione sarebbe stata espressa riguardava soggetti iscritti a corsi di specializzazione negli anni accademici anteriori al 1982-1983, ai quali si è riconosciuto il diritto al risarcimento del danno, peraltro a partire dal 1 gennaio 1983, da liquidarsi negli importi previsti dall'art. 11 della L. n. 370 del 1999 (cfr. la sentenza 3 marzo 2022, in C-590/20, della Corte di giustizia Europea, nonchè Cass., Sez. Un., 23/06/2022, n. 20278, cit.).
6. Con il terzo motivo viene denunciata violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 113 Cost., nonchè degli artt. 96, comma 3, 97 e 348 ter c.p.c..
La sentenza impugnata è censurata nella parte in cui ha emesso a carico di ciascuno dei ricorrenti la condanna al pagamento della somma di Euro 1.000, ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c. 6.1. Anche questo motivo è inammissibile.
In conformità con quanto questa Corte ha tradizionalmente affermato con riguardo alla domanda risarcitoria di cui ai primi due commi di cui all'art. 96 c.p.c. (cfr., ad es., Cass. 12/01/2010, n. 327; Cass. 29/09/2016, n. 12298), anche con riguardo alla domanda di pagamento di una somma equitativamente determinata, contemplata dal comma 3 della stessa disposizione, deve ritenersi che l'accertamento dei presupposti della condanna (nella specie, consistenti nell'uso abusivo e distorto del mezzo processuale: Cass.30/09/2021, n. 26545), implica un apprezzamento di fatto, non censurabile in sede di legittimità se la sua motivazione risponde ad esatti criteri logico-giuridici.
Nel caso di specie, la Corte ha debitamente motivato il proprio apprezzamento, ritenendo che "la proposizione di un appello (nell'anno 2020, a quadro giurisprudenziale stabilizzato) con scarse o nulle possibilità d'essere accolto, in quanto contrastante con la giurisprudenza di legittimità consolidata con argomenti dalla stessa già disattesi, configura un abuso del processo che legittima la condanna prevista dall'art. 96, comma 3, c.p.c. ".
7. In definitiva il ricorso va dichiarato inammissibile.
8. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
9. Diversamente da quanto richiesto in controricorso, non sussistono i presupposti per condannare i ricorrenti ai sensi dell'art. 96 c.p.c..
10. Sussistono, invece, i presupposti processuali di cui all'art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna i ricorrenti, in solido tra loro, a rimborsare alle amministrazioni controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 12.000,00 oltre le spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115,art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2023.
Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2023