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Sentenza

Il pubblico ufficiale che non si astiene da un concorso cui partecipa il nipote vincitore commette abuso d'ufficio.
Il pubblico ufficiale che non si astiene da un concorso cui partecipa il nipote vincitore commette abuso d'ufficio.
Cassazione penale, Sez. VI, sentenza 8 settembre 2021, n. 33240
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio - Presidente -

Dott. CALVANESE Ersilia - Consigliere -

Dott. AMOROSO Riccardo - Consigliere -

Dott. SILVESTRI Pietro - rel. Consigliere -

Dott. TRIPICCIONE Debora - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

D.P.P., nata a (OMISSIS);

avverso la sentenza emessa dalla Corte di appello di L'Aquila il 25/06/2020;

udita la relazione svolta dal Consigliere, Dr. Pietro Silvestri;

lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale, che ha chiesto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata agli effetti penali per essersi il reato estinto per prescrizione e la conferma delle statuizioni civili.
Svolgimento del processo

1. La Corte di appello di L'Aquila ha confermato il giudizio di responsabilità nei riguardi di D.P.P. per il reato di abuso d'ufficio.

D.P., in qualità di dirigente del settore politiche sociali del Comune di L'Aquila, commettendo atti fraudolenti - in violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 7 e dell'art. 45 del regolamento degli Uffici e Servizi del Comune in merito ai titoli di studio richiesti-omettendo di astenersi dal predisporre il bando di gara e dal presiedere la relativa commissione esaminatrice di valutazione dei curricula pervenuti, avrebbe, con affermazioni generiche e non verificabili, dichiarato vincitrice del concorso sua nipote, S.A.M.A., assumendola e stipulando personalmente il contratto di co.co.co.; avrebbe inoltre omesso nuovamente di astenersi e prorogato al 31.12.2012 l'incarico della nipote per due volte.

La Corte, sul presupposto della esistenza di un reato continuato, ha dichiarato non doversi procedere per prescrizione in relazione alle condotte di adozione del bando di gara e della stipula del contratto con la S. il 5.4.2012.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'imputata articolando cinque motivi.

2.1. Con il primo deduce violazione di legge in relazione all'art. 97 c.p.p..

Si sostiene che:

- l'imputata era stata difesa nel giudizio di primo grado dall'avv. Maurizio Dionisio che aveva provveduto anche alla redazione dell'atto di appello;

- prima dell'udienza fissata dinanzi alla Corte di appello, il difensore aveva inviato a mezzo posta elettronica certificata una comunicazione con la quale rinunciava al mandato conferitogli;

- all'udienza la Corte di appello aveva sostituito il difensore rinunciante provvedendo a nominare un sostituto ex art. 97 c.p.p., comma 4;. - la Corte, in assenza di un nuovo difensore di fiducia, avrebbe invece dovuto nominare, ex art. 97 c.p.p., comma 1, un nuovo difensore d'ufficio.

Secondo la ricorrente la decisione della Corte di procedere alla trattazione del processo senza nominare un nuovo difensore avrebbe determinato una nullità, tenuto conto che la nomina del nuovo difensore avrebbe comportato per questi il diritto ad un termine a difesa e di comunicare con l'assistita.

2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione di legge processuale per inosservanza dell'art. 169 c.p.p. e art. 161 c.p.p., comma 4, in relazione all'art. 419 c.p.p..

Il tema attiene alla notifica all'imputata dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare, compiuta ai sensi dell'art. 161 c.p.p., comma 4, presso il difensore.

Si afferma che:

- l'imputata aveva dichiarato domicilio presso la propria abitazione in (OMISSIS);

- il 9.11.2017 era stata fissata l'udienza preliminare per il giorno 14.2.2018;

- l'avviso di fissazione dell'udienza non fu mai notificato ed il Giudice, dopo diverse udienze dedicate a regolarizzare la costituzione delle parti in relazione alla notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza ad alcune persone offese, il 23.5.2018 rilevò che non vi era in atti la prova della notifica dell'avviso in questione all'imputata;

- la notifica fu effettuata al difensore il 6.6.2018, ai sensi dell'art. 161 c.p.p., comma 4, "stante l'irreperibilità dell'imputata";

- all'udienza del 13.6.2018 fu rilevato il mancato rispetto del termine libero a comparire e l'udienza fu rinviata "senza tentare una nuova notifica all'imputata";

- il 29.6.2018 fu celebrata l'udienza preliminare e disposto il rinvio a giudizio.

Si sostiene che l'assenza della ricorrente dal luogo di domicilio per settantadue ore a causa di ferie (si fa riferimento ad una annotazione di polizia giudiziaria del 5.6.2018) non poteva indurre a considerarla irreperibile, con conseguente notifica al difensore senza nemmeno il rispetto dei termini a comparire; si aggiunge che: a) a seguito del mancato rispetto dei termini in questione, si sarebbe dovuta eseguire un'ulteriore notifica; b) la notifica, in assenza dell'imputata, poteva essere eseguita depositando l'atto presso la Casa Comunale.

Si evidenzia che il concetto di irreperibilità non può essere equiparato a quello di impossibilità di notifica e da tale presupposto si ritiene nulla in via assoluta la notifica dell'avviso di fissazione della udienza preliminare.

2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di penale responsabilità in relazione al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 7 e art. 45 regolamento Uffici e servizi del Comune di L'Aquila; il tema attiene alla ritenuta sussistenza della violazione di legge.

Sotto altro profilo il Tribunale avrebbe ritenuto erroneamente sussistente il requisito del danno ingiusto, rinvenuto nel fatto che era stata selezionata una candidata priva dei requisiti previsti dalla legge, e del dolo, attesa la non sussistenza della violazione di legge e del regolamento comunale.

2.4. Con il quarto motivo si deduce vizio di motivazione in ordine all'omessa risposta al motivo di appello con cui si era devoluta la questione relativa alla individuazione nel presente procedimento di una notizia di reato. Si sostiene che il procedimento avrebbe origine da altri due fascicoli di cui non si conoscerebbe alcunchè e ciò avrebbe impedito di valutare e verificare una serie di profili potenzialmente rilevanti anche in tema di verifica della sussistenza di invalidità processuali.

2.5. Con il quinto motivo si deduce violazione di legge; il tema è quello della sopravvenuta modifica dell'art. 323 c.p.. e della non più rilevanza delle violazione della norma regolamentare.

2.6. E' pervenuta una memoria moria da parte del difensore con cui si segnala la estinzione del reato per prescrizione compiutasi il 20.9.2020.
Motivi della decisione

1.La sentenza deve essere annullata senza rinvio per essersi il reato estinto per prescrizione il 20 settembre 2020 e confermata quanto alle statuizioni civili.

2. Il primo motivo è inammissibile.

L'imputata fu assistita e difesa nell'unica udienza tenuta davanti alla Corte di appello e il difensore d'ufficio, senza eccepire alcunchè, formulò le proprie conclusioni (in tal senso appare improprio il richiamo da parte della ricorrente a Sez. 1, n. 39570 del 12/09/2019 emergendo dalla lettura della sentenza in questione che nella specie nessun difensore rassegnò le conclusioni per l'imputato).

In realtà, nel caso di specie, non è stato chiarito alcunchè dalla ricorrente.

Ove si ritenga che la Corte fosse a conoscenza della rinuncia, la designazione del difensore d'ufficio non potrebbe che essere avvenuta ai sensi dell'art. 97 c.p.p., comma 1, e, dunque, nessuna violazione di legge è stata posta in essere, non potendo farsi derivare una invalidità dalla circostanza che il difensore non richiese un termine a difesa.

Ove si ritenga invece che la Corte non fosse a conoscenza della rinuncia, non è chiaro quale sarebbe la invalidità che nella specie si sarebbe realizzata.

Sul punto il ricorso è silente.

3. E' inammissibile anche il secondo motivo.

La Corte di appello ha chiarito che la notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza preliminare fu notificato al difensore, ai sensi dell'art. 161 c.p.p., comma 4, perchè la notificazione "era stata tentata più volte ed in orari diversi, sia presso il domicilio eletto, che presso il luogo di lavoro, ma sempre con esito negativo".

Le Sezioni unite hanno chiarito che l'impossibilità della notificazione al domicilio dichiarato o eletto, che ne legittima l'esecuzione presso il difensore secondo la procedura prevista dall'art. 161 c.p.p., comma 4, è integrata anche dalla temporanea assenza dell'imputato al momento dell'accesso dell'ufficiale notificatore o dalla non agevole individuazione dello specifico luogo, non occorrendo alcuna indagine che attesti l'irreperibilità dell'imputato, doverosa invece qualora non sia stato possibile eseguire la notificazione nei modi previsti dall'art. 157 c.p.p. (Sez. U., n. 58120 del 22/06/2017, Tuppi, Rv. 271772).

Si è spiegato, in linea con quanto precisato da Sez. U, n. 28451 del 28/04/2011, Pedicone, Rv.250121), che, ai fini della notifica al difensore ai sensi dell'art. 161 c.p.p., comma 4, deve ritenersi sufficiente, come nel caso di specie, l'attestazione dell'ufficiale giudiziario di non aver reperito l'imputato nel domicilio dichiarato - o il domiciliatario nel domicilio eletto - non occorrendo alcuna indagine che attesti la irreperibilità dell'imputato, doverosa solo qualora non sia stato possibile eseguire la notificazione nei modi previsti dall'art. 157, come si desume dall'incipit dell'art. 159 c.p.p.; sicchè anche la temporanea assenza dell'imputato o la non agevole individuazione dello specifico luogo indicato come domicilio abilita l'ufficio preposto alla spedizione dell'atto da notificare a ricorrere alle forme alternative previste dall'art. 161 c.p.p., comma 4, (in questo senso, Sez. 6, n. 24864 del 19/04/2017, Ciolan, Rv. 270031; Sez. 3, n. 12909 del 20/01/2016, Pinto, Rv. 268158). Dunque, seppur dopo alcune udienze, l'avviso di fissazione dell'udienza preliminare fu ritualmente notificato all'imputata.

Quanto alla inosservanza del termine a comparire, secondo l'indirizzo che questo Collegio condivide, nel caso di inosservanza del termine dilatorio per comparire, nessuna nullità si verifica ove il giudice rinvii preliminarmente il processo ad altra udienza, concedendo per intero, come è accaduto nel caso di specie, un nuovo termine di sessanta giorni, senza disporre la notificazione dell'ordinanza di rinvio all'imputato assente, in quanto l'avviso orale della successiva udienza rivolto al difensore vale anche come comunicazione all'interessato, spettando al primo la rappresentanza del proprio assistito (Sez. 5, n. 8896 del 18/01/2021, Mottarlini, Rv. 281136).

In particolare, anche nel caso in cui all'imputato sia stato regolarmente notificato il decreto di citazione diretta a giudizio, ma non sia stato osservato il termine dilatorio per comparire di cui all'art. 552 c.p.p., comma 3, nessuna nullità si verifica ove il giudice rinvii preliminarmente il processo ad altra udienza, concedendo per intero un nuovo termine di sessanta giorni, senza disporre la notificazione dell'ordinanza di rinvio all'imputato assente, in quanto l'avviso orale della successiva udienza rivolto al difensore vale anche come comunicazione all'interessato e sostituisce la notificazione allo stesso, ai sensi dell'art. 148 c.p.p., comma 5, spettando al difensore presente la rappresentanza del proprio assistito ex art. 99 c.p.p., comma 1, (Sez. 2, n. 11986 del 05/02/2020, Borsani, Rv. 278832).

4. Sono infondati, ai limiti della inammissibilità, anche il terzo ed il quinto motivo di ricorso.

Il tema, come detto, attiene alla violazione del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 7 e dell'art. 45 del Regolamento degli Uffici e Servizi del Comune di l'Aquila.

Il D.Lgs. art. 7, comma 6 indicato prevede:

"Fermo restando quanto previsto dal comma 5-bis, per specifiche esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire esclusivamente incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, ad esperti di particolare e comprovata specializzazione anche universitaria, in presenza dei seguenti presupposti di legittimità:

a) l'oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall'ordinamento all'amministrazione conferente, ad obiettivi e progetti specifici e determinati e deve risultare coerente con le esigenze di funzionalità dell'amministrazione conferente;

b) l'amministrazione deve avere preliminarmente accertato l'impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno;

c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; non è ammesso il rinnovo; l'eventuale proroga dell'incarico originario è consentita, in via eccezionale, al solo fine di completare il progetto e per ritardi non imputabili al collaboratore, ferma restando la misura del compenso pattuito in sede di affidamento dell'incarico....

Si prescinde dal requisito della comprovata specializzazione universitaria in caso di stipulazione di contratti di collaborazione per attività che debbano essere svolte da professionisti iscritti in ordini o albi o con soggetti che operino nel campo dell'arte, dello spettacolo, dei mestieri artigianali o dell'attività informatica..." Cosa dovesse intendersi sul piano tecnico per "comprovata specializzazione universitaria" lo esplicitava l'art. 45 del regolamento comunale: era necessario il possesso di laurea magistrale o, in subordine, di laurea triennale accompagnata da master universitari coerenti con le professioni richieste.

Non è in contestazione che S. non fosse in possesso di laurea magistrale.

Sulla base di tale quadro di riferimento i giudici di merito hanno innanzitutto chiarito come l'incarico non potesse nella specie prescindere dai titoli della "comprovata specializzazione universitaria" in ragione dello svolgimento di un'attività informatica (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 7, comma 6).

Si è spiegato che: a) l'oggetto dell'incarico riguardava attività di front e back office per l'aiuto agli studenti a "districarsi nel circuito degli affitti e per l'incentivazione dell'incontro fra domanda ed offerta" (così il Tribunale a pag. 9); b) l'unica attività informatica consisteva nell'inserimento di dati sul sito internet del Comune e dunque un'attività informatica sostanzialmente manuale e residuale; c) il Comune aveva stanziato dei fondi per l'attivazione del servizio Web, con ciò esplicitando il dato che l'attività informatica in senso stretto dovesse essere svolta da altri soggetti; d) la proroga del 21.12.2012 fu determinata dalla necessità di creare una pubblicazione cartacea.

Rispetto a tale quadro di riferimento, il motivo rivela la sua radicale infondatezza nella parte in cui ritiene che anche in ragione della - in realtà inesistente - attività informatica di cui si è detto, si potesse derogare per i fatti per cui si procede dal requisito della "comprovata specializzazione universitaria" di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 7, comma 6.

Non diversamente, correttamente i Giudici di merito hanno rilevato come, pur volendo ritenere che l'attività informatica fosse rilevante per il conferimento di quell'incarico, nondimeno la violazione di legge sarebbe configurabile, atteso che non sarebbe stata verificata da parte dell'amministrazione l'impossibilità oggettiva di utilizzare il personale già in servizio presso il Comune; sul punto nessuna valutazione, anche in relazione all'ipotizzato fatto notorio da parte della difesa dello stato di necessità del Comune di assumere personale, fu anche solo implicitamente compiuta ovvero esplicitata.

Ne deriva l'infondatezza anche del quinto motivo di ricorso non solo perchè nella specie sussiste una frontale e diretta violazione di legge nella parte relativa alla omessa valutazione della possibilità di fare ricorso a personale già in servizio presso il comune, ma anche rispetto al tema della norma regolamentare di cui all'art. 45 del Regolamento comunale.

La recente riforma dell'abuso d'ufficio - con lo strumento della decretazione d'urgenza (D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito con L. 11 settembre 2020, n. 120)- ha inciso sullo spettro applicativo della fattispecie, limitandola, sia sul versante della rilevanza degli atti discrezionali che delle norme di legge che costituiscono il parametro della violazione richiesta; è stata infatti esclusa la rilevanza della violazione di norme contenute all'interno di regolamenti.

Al di là del tema, obiettivamente rilevante, della valenza dei rinvii indefiniti derivanti dall'elemento normativo "in violazione di specifiche regole di condotta" contenuto nel nuovo art. 323 c.p. e del se, in ragione dei rinvii in questione, vi siano ancora margini per attrarre all'interno dei parametri di qualificazione della condotta abusiva, anche la violazione di norme sub-primarie emanate in forza della legge, ed usate, quindi, come norme interposte, ciò che tuttavia pare rilevante è che la norma di legge violata, nell'ambito della tipicità della fattispecie di cui all'art. 323 c.p., si conformi, come appunto nel caso di specie, ai canoni della tipicità e della tassatività propri del precetto penale, atteso che solo in tali casi è possibile ammettere un livello minimo di etero-integrazione della fonte secondaria che si risolva, si è fatto acutamente notare in dottrina, solo in una specificazione tecnica di un precetto comportamentale, già compiutamente definito nella norma primaria.

Nel caso di specie, la norma di legge violata, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 7, comma 6, aveva una propria autonoma specifica tipicità descrittiva, richiedendo che gli esperti a cui potevano essere conferiti incarichi dal Comune, avessero una "comprovata specializzazione anche universitaria" e l'art. 45 del regolamento comunale assolveva ad una funzione di sola specificazione, spiegando cosa dovesse intendersi per comprovata specializzazione universitaria.

Sotto ulteriore profilo, pur volendo ragionare con la ricorrente, il reato sarebbe comunque configurabile, atteso che la novella di cui al D.L. 16 luglio 2020, n. 76, convertito con mod. dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, lì dove ha ristretto l'ambito applicativo del reato di cui all'art. 323 c.p., richiedendo l'inosservanza di "specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità", non riguarda la condotta di abuso che si realizza mediante la violazione dell'obbligo di astensione, che nelle specie fu comunque violato. (Sez. 6, n. 7007 dell'8/01/2021, Micheli, Rv. 281158).

Sul punto il ricorso è silente.

Alla luce della ricostruzione fattuale compiuta dai giudici dubbi non possono sussistere sulla configurabilità del requisito del danno ingiusto, atteso che i contratti stipulati prevedevano la corresponsione di un compenso patrimoniale a cui la nipote dell'imputata non aveva diritto, e neppure su quella del dolo intenzionale, sui cui nulla di specifico è stato dedotto.

5. Inammissibile è infine il quarto motivo di ricorso, non essendo stato dedotto alcunchè.

6. Alla conferma delle statuizioni civili consegue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, P.A., che liquida in complessivi 3.510, 00 Euro oltre accessori di legge.
P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata agli effettui penali, perchè il reato è estinto per prescrizione e conferma le statuizioni civili. Condanna inoltre, la ricorrente alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile, P.A., che liquida in complessivi 3.510, 00 Euro oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 16 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2021
Avv. Antonino Sugamele

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