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Sentenza

Qualora l'Amministrazione ritenga di prescindere dalla definizione del proce...
Qualora l'Amministrazione ritenga di prescindere dalla definizione del procedimento penale e scelga di portare a conclusione senza indugio il procedimento disciplinare, ex art. 1393 del D.Lgs. n. 66/2010, deve comunque dimostrare, sia pure senza il rigore probatorio proprio del diritto penale, che la condotta addebitata all'incolpato sia stata effettivamente (recte, verosimilmente) posta in essere.
T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, 12/05/2021, n. 5565
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9200 del 2020, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Gianfranco Polinari, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico eletto presso lo studio Gianfranco Polinari in Roma, viale Giulio Cesare 118;

contro

Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per l'annullamento

della determina n. M D GMIL Reg 2020 0322758 del 25.08.2020 notificata il 29.9.2020 con la

quale al ricorrente, sospeso precauzionalmente dal servizio a titolo facoltativo, è stata disposta dal 14.1.2020, ai soli fini giuridici, la sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari e per l'effetto della quale lo stesso cessa dal servizio permanente e viene iscritto d'ufficio al ruolo dei militari di truppa dell'Esercito Italiano senza alcun grado.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 7 maggio 2021 il dott. Fabrizio D'Alessandri, celebrata nelle forme di cui all'art. 25 del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito in L. n. 176 del 2020, come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo

Parte ricorrente, Carabiniere Scelto, impugna con il presente giudizio la determina n. M D GMIL Reg 2020 0322758 che ha disposto la sanzione della perdita del grado per rimozione per motivi disciplinari, con l'effetto di cessazione dal servizio permanente e iscrizione d'ufficio al ruolo dei militari di truppa dell'Esercito Italiano senza alcun grado.

In particolare, parte ricorrente, con informazione di garanzia del 5.5.2016 emessa dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma, veniva indagato per la violazione dell'art. 81 cpv. c.p., art.73 c. 1, 4 e 74 D.P.R. n. 309 del 1990 per essersi associato con altri militari e civili per aver acquisito e commercializzato quantitativi consistenti di stupefacente custoditi in un locale in disponibilità di un loro commilitone. In particolare, il medesimo ricorrente si sarebbe occupato della riscossione del ricavato della vendita e di assicurare l'occultamento dello stupefacente, nonchè si sarebbe impossessato in concorso (artt. 81 c.p. 110 c.p. 314 c.p. art. 73 c. 1 e 4 del D.P.R. n. 309 del 1990) di somme di denaro rinvenute nel corso di operazioni di polizia e avrebbe ceduto a terzi a fine di profitto della sostanza stupefacente entrata nella sua disponibilità.

Ricevuto il relativo avviso di garanzia il ricorrente è stato trasferito in altra Caserma dei Carabinieri ed è stata disposta la sua sospensione precauzionale dall'impiego a titolo facoltativo ai sensi dell'art. 917, comma 2, del D.Lgs. n. 66 del 2010.

E' stato assoggettato a procedimento disciplinare che si è concluso con la sanzione espulsiva per la seguente motivazione: "Carabiniere scelto all'epoca dei fatti in forza alla Stazione dei CC di Roma Garbatella, in concorso con altri militari e con civili, appartenenti a sodalizio criminale al fine di profitto e nell'ambito del proprio servizio di istituto poneva in essere condotte plurime e continuate tese all'acquisizione commercializzazione e cessione di ingente quantitativo di sostanza stupefacente del tipo hashish. Condotte accertate in sede istruttoria sono da ritenersi biasimevoli sotto l'aspetto disciplinare in quanto contraria ai principi di moralità e rettitudine che devono improntare l'agire di un militare ai doveri attinenti al giuramento prestato ed a quelli di correttezza ed esemplarità propri dello status di militare e di appartenente all'Arma dei Carabinieri. I Fatti disciplinarmente accertati sono di rilevanza e gravità tale da richiedere l'applicazione della massima sanzione disciplinare di stato".

Parte ricorrente ha impugnato quest'ultimo provvedimento.

Il ricorso è stato rigettato in primo grado ma il Consiglio di Stato, adito in sede di appello, ha riformato, con la sentenza dell'11/10/2019, n. 6925, la pronuncia del T.A.R. annullando l'atto gravato.

La stessa sentenza di annullamento, facendo riferimento al verbale dell'interrogatorio reso dal ricorrente dinanzi al P.M. in data 5.5.2016, ha espressamente indicato la facoltà da parte dell'Amministrazione militare di radicare un nuovo procedimento disciplinare e, in tale contesto, di considerare anche le affermazioni formulate dal ricorrente nel medesimo interrogatorio.

L'Amministrazione ha avviato un nuovo procedimento disciplinare conclusosi con il Provv. del 25 agosto 2020, gravato in questa sede, adottato sulla base della seguente motivazione: "Carabiniere Scelto, all'epoca dei fatti effettivo alla Stazione Carabinieri di Roma Garbatella, nelle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio dì garanzia del 5 maggio 2016, ammette l'uso, sia pure definito saltuario, di "cocaina", nonché i reiterati illeciti rapporti con soggetti dediti allo spaccio di sostanze stupefacenti e la continua appropriazione di denaro e stupefacenti rinvenuti nel corso delle operazioni d'istituto.

Tali condotte, accertate in sede istruttoria e per le quali è pendente procedimento penale, sorto da ritenersi biasimevoli anche sotto l'aspetto disciplinare, in quanto contrarie ai principi di moralità e rettitudine che devono improntare l'agire di un militare, ai doveri attinenti al giuramento prestato e a quelli di correttezza ed esemplarità propri dello "status" di militare e di appartenente all'Arma dei Carabinieri, nonché lesive del prestigio dell'Istituzione.

I fatti disciplinarmente accertati sono di rilevanza tale da richiedere l'applicazione della massima sanzione disciplinare di stato".

Parte ricorrente ha formulato i seguenti rubricati motivi di ricorso:

1) Espletamento del procedimento disciplinare in pendenza del procedimento penale - Eccesso di potere.

Lamenta in sostanza il ricorrente la violazione dell'art. 1393 del Codice dell'Ordinamento militare, in quanto non vi sarebbero stati gli estremi per decidere il procedimento disciplinare, dovendosi procedere alla sua sospensione in attesa della definizione del procedimento penale, stante l'esistenza di concreti e oggettivi impedimenti nell'accertamento compiuto dei fatti e, in particolare, l'indispensabilità di acquisizione di atti giudiziari ancora non ostensibili. L'indagine penale, infatti, non avrebbe dato alcuna prova oggettiva e inconfutabile della condotta contestata e il ricorrente sarebbe allo stato solo indagato.

2) Infondatezza degli addebiti - Violazione di legge ed eccesso di potere.

Gli addebiti contestati in sede disciplinare sarebbero infondati e, comunque, indimostrati. Il procedimento penale a carico dell'istante è ancora nella fase delle indagini preliminari, nessun provvedimento cautelare è stato assunto e il ricorrente risulta allo stato soltanto indagato. Nessun atto di indagine avrebbe riconosciuto la sua responsabilità e, anzi, le indagini (comprese le intercettazioni telefoniche e la perquisizione domiciliare) avrebbero dato riscontro negativo.

Il verbale dell'interrogatorio di garanzia del 5.5.2016, nel quale vi sarebbe l'ammissione dei fatti contestati, non sarebbe attendibile in quanto tenuto a ora insolita, dalle 21,30 alle 23,30, affrontato in modo del tutto repentino e impreparato dal ricorrente. Lo stesso, inoltre, avrebbe seguito "consigli dati da commilitoni, e da un difensore reperito in loco, con la potenziale speranza di evitare conseguenze che gli erano state in quel momento palesate (anni di carcere e perdita del posto di lavoro )", riportando circostanze non veritiere, che tra l'altro, sarebbero contrastanti con gli esiti dell'istruttoria penale espletata.

Si è costituita in giudizio l'Amministrazione intimata resistendo al ricorso.

L'adito T.A.R., con ordinanza n. 7573/2020, ha rigettato l'istanza cautelare con la seguente motivazione: "Ritenuti i profili di discrezionalità inerenti le valutazioni espresse ai fini dei giudizi disciplinari; Considerato che l'operato dell'Amministrazione in sede disciplinare, che ha assunto il provvedimento gravato basandosi in modo rilevante principale sulle dichiarazioni dello stesso ricorrente in sede di dell'interrogatorio di garanzia, non presenti profili di illogicità o manifesta irragionevolezza".
Motivi della decisione

1) Il ricorso si palesa infondato.

2) Il Collegio rileva, in punto di diritto, quanto al rapporto tra giudizio penale e procedimento disciplinare, che ai sensi dell'art. 1393 del Codice dell'ordinamento militare (D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66) "il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, è avviato, proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale. Per le infrazioni disciplinari di maggiore gravità, punibili con la consegna di rigore di cui all'articolo 1362 o con le sanzioni disciplinari di stato di cui all'articolo 1357, l'autorità competente, solo nei casi di particolare complessità dell'accertamento del fatto addebitato al militare ovvero qualora, all'esito di accertamenti preliminari, non disponga di elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare, promuove il procedimento disciplinare al termine di quello penale. Il procedimento disciplinare non è comunque promosso e se già iniziato è sospeso fino alla data in cui l'Amministrazione ha avuto conoscenza integrale della sentenza o del decreto penale irrevocabili, che concludono il procedimento penale, ovvero del provvedimento di archiviazione, nel caso in cui riguardi atti e comportamenti del militare nello svolgimento delle proprie funzioni, in adempimento di obblighi e doveri di servizio".

In sostanza, quindi, il principio di autonomia del procedimento disciplinare rispetto al procedimento penale presenta, ai sensi del tenore testuale dell'art. 1393 del D.Lgs. n. 66 del 2010, due uniche eccezioni che impongono la sospensione sino all'esito del giudizio penale: - quando il fatto sia grave (cioè passibile di consegna di rigore o di sanzione di stato) e il suo accertamento rivesta particolare complessità al punto che gli strumenti propri della inchiesta disciplinare non siano sufficienti; - se il fatto addebitato, indipendentemente dalla sua gravità, sia commesso nell'esercizio delle funzioni ovvero in adempimento di obblighi e doveri di servizio (Cons. Stato Sez. IV, 22/03/2021, n. 2428).

Parte ricorrente, come indicato nella parte in fatto, ha dedotto la ricorrenza di una delle ipotesi di sospensione del procedimento disciplinare a causa della complessità del fatto e della circostanza che non vi sarebbero evidenze sufficienti, oggettive e inconfutabili della condotta contestata.

Al tempo stesso parte ricorrente, nel secondo motivo di ricorso, ha ribadito l'assenza di concreti elementi per affermare la responsabilità del ricorrente rispetto a quanto imputato, rilevando come non vi siano prove o altri elementi di indagine a carico dello stesso se non le affermazioni rese dal medesimo ricorrente durante l'interrogatorio dinanzi al P.M., nelle quali avrebbe riconosciuto il suo pesante coinvolgimento nella vicenda.

Al riguardo, il ricorrente non nega di aver fatto determinate affermazioni nell'interrogatorio di garanzia, minimizzandone tuttavia la portata e l'attendibilità sulla scorta dell'argomento secondo cui le circostanze riportate nel verbale dell'interrogatorio sarebbero comunque non veritiere, frutto di metus per le possibili conseguenze negative della vicenda e dei "consigli" dei commilitoni e del difensore.

Il Collegio rileva al riguardo come a fronte delle ammissioni dei fatti da parte del ricorrente in sede di interrogatorio di garanzia innanzitutto si palesi non censurabile la decisione dell'Amministrazione di non sospendere il procedimento disciplinare in attesa dell'esito di quello penale e, in secondo luogo, si rivela legittima l'irrogazione del provvedimento disciplinare comminato, non potendosi ravvisare profili di difetto di istruttoria, travisamento dei fatti o altre ipotesi di eccesso di potere.

Quanto al primo aspetto, a fronte di un'ammissione espressa dei fatti contestati, ovverosia del suo coinvolgimento nella vicenda con comportamenti sicuramente non consoni ai doveri del suo status di appartenente all'Arma dei Carabinieri, l'Amministrazione ha correttamente ritenuto di non dover sospendere il procedimento disciplinare applicando la regola generale dell'autonomia dei procedimenti penale e disciplinare.

Il fatto non può qualificarsi come commesso nell'esercizio delle funzioni, ovvero in adempimento di obblighi e doveri di servizio, dal quale sono escluse le condotte penalmente illecite tenute, come nella specie, in occasione del servizio ma in violazione dei relativi doveri (Cons. Stato, Sez. IV, 11/10/2019, n. 6925).

Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, a fronte delle affermazioni di quest'ultimo nell'interrogatorio di garanzia non può dirsi che l'accertamento dell'accaduto si presenti come particolarmente complesso, né che le medesime affermazioni non costituiscano elementi conoscitivi sufficienti ai fini della valutazione disciplinare. Ciò a maggior ragione in quanto la scelta in questione di procedere nel procedimento disciplinare è frutto di una valutazione discrezionale sindacabile in sede giurisdizionale solo per manifesta illogicità o palese irragionevolezza, che nel caso di specie non appare ricorrere.

Quanto indicato in sede di interrogatorio appare sufficiente a legittimare, anche sul piano sostanziale, la sanzione comminata.

Come indicato nella stessa sentenza Cons. Stato, Sez. IV, 11/10/2019, n. 6925 - che aveva annullato il primo provvedimento disciplinare - "allorché l'Amministrazione ritenga di prescindere dalla definizione del procedimento (e, in prospettiva, del processo) penale e scelga di portare a conclusione senza indugio il procedimento disciplinare, deve comunque dimostrare, sia pure senza il rigore probatorio proprio del diritto penale, che la condotta addebitata all'incolpato sia stata effettivamente (recte, verosimilmente) posta in essere. A tal fine, l'Amministrazione deve confezionare una motivazione congrua e convincente e, in particolare, deve individuare le fonti di prova da cui trae il convincimento circa la fondatezza dell'ipotesi di incolpazione".

Il Collegio ritiene a tal fine sufficienti le affermazioni sulla vicenda rilasciate in sede di interrogatorio di garanzia, che evidenziano come lo stesso abbia tenuto, per sua stessa ammissione, gravi comportamenti contrari ai doveri di ufficio e ai principi di moralità e rettitudine che devono improntare l'agire di un militare.

Lo stesso, infatti, ammette all'inizio dell'interrogatorio "è sostanzialmente vero quello di cui mi si accusa", rilevando nel prosieguo che era conoscenza della detenzione di sostanza stupefacente del tipo hashish nel box di un collega, di aver accompagnato il medesimo collega presso il box a prelevare sostanza stupefacente, di aver assistito allo scambio della droga e alla consegna del denaro, anche da parte di persone che vendevano stupefacente per conto del collega, di aver accompagnato lui stesso il collega nelle consegne di stupefacente, di essersi appropriato insieme a colleghi di denaro e sostanza stupefacente rinvenuti nel corso delle operazioni di servizio, di aver fatto uso di cocaina. In sostanza dalle ammissioni in sede di interrogatorio emerge una consuetudine di rapporti illeciti con soggetti dediti ad attività criminali, quali lo spaccio di sostanza stupefacente, e reiterate gravissime violazioni dei doveri d'ufficio, comportanti comportamenti di connivenza e concorso nella commissione di reati, tra cui l'appropriazione di denaro e stupefacente nell'ambito di svolgimento delle funzioni di servizio.

Né possono assumere rilievo determinante in senso contrario le affermazioni secondo cui le dichiarazioni non risponderebbero a verità perché frutto di "impreparazione" all'interrogatorio, dell'ora tarda, della paura delle conseguenze e dei consigli dei commilitoni e del difensore. Tali asserzioni rimangono a livello di mera congettura e non hanno riscontri obiettivi. Anzi il livello di dettaglio e specificità dei fatti narrati nell'interrogatorio depongono per la veridicità di quanto raccontato.

Allo stesso modo non appare avere pregio la deduzione della non veridicità delle circostanze affermate in sede di interrogatorio di garanzia dimostrata dalla difformità delle risultanze dell'indagine penale. Non emergono infatti dagli atti circostanze che smentiscono le affermazioni rese dal ricorrente e a fronte delle sue espresse dichiarazioni, non risultavano necessari altri riscontri probatori al fine del provvedimento disciplinare.

Infine, in conformità dei consolidati principi in materia di procedimento disciplinare, la valutazione dei fatti al fine della comminazione della misura disciplinare espulsiva è anch'esso un aspetto soggetto alle valutazioni discrezionali dell'Amministrazione militare, insindacabili in sede giurisdizionale se non per irragionevolezza e illogicità manifesta.

A fronte della gravità dei comportamenti rilevati l'azione disciplinare dell'Amministrazione non evidenzia profili di irragionevolezza o illogicità.

3) Per quanto suindicato il ricorso deve essere rigettato.

Stante le specifiche circostanze inerenti al ricorso il Collegio ritiene sussistano gravi ed eccezionali motivi per disporre la compensazione delle spese di lite.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

Compensa le spese di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare parte ricorrente.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2021, con collegamento da remoto, ai sensi dell'art. 25 del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito in L. n. 176 del 2020, con l'intervento dei magistrati:

Concetta Anastasi, Presidente

Fabrizio D'Alessandri, Consigliere, Estensore

Claudio Vallorani, Primo Referendario
Avv. Antonino Sugamele

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