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Sentenza

Quando può essere disposta l’autorizzazione integrata ambientale?...
Quando può essere disposta l’autorizzazione integrata ambientale?
Tar Friuli VG Sez. I Data: 14/04/2020 n. 125

	 Fatto e Diritto

Il Comitato di Salvaguardia dietro Castello e il signor P. R. espongono che la questione portata all'attenzione di questo Tribunale costituisce un ulteriore capitolo del contenzioso che contrappone parte della cittadinanza del Comune di Caneva (PN) abitante in via dietro Castello, riunitasi nel Comitato di Salvaguardia dietro Castello, all'Azienda Agricola C. s.s. di M. P. & C., ora “Società Agricola C. s.s. di P. M. & C.”.

Espongono, infatti, che, in seguito alla riforma da parte del Consiglio di Stato (sentenza n. 3572/2017) della decisione con cui questo Tribunale aveva annullato l'AIA (Decreto n. 643/AMB del 24 aprile 2015 rilasciata alla controinteressata dalla Direzione centrale ambiente ed energia della Regione Autonoma Friuli Venezia (sentenza n. 77/2016) per l'esercizio di un allevamento intensivo di pollame con più di 40.000 posti, hanno verificato una pluralità di circostanze aventi ad oggetto la gestione dell'attività che, a loro avviso, avrebbero dovuto comportare la revoca dell'AIA medesima da parte della Regione, nonché rilevato anche la sussistenza dei presupposti per il suo annullamento in via di autotutela.

Espongono, quindi, di avere chiesto alla Regione intimata:

 

a) che l'AIA venga annullata in via di autotutela in quanto non sono state considerate nel modello teorico presentato le rilevantissime aperture (4 prese d'aria di 15 metri per un metro per ciascun capannone) presenti nell'impianto e, per altro verso, perché si tratta di un intervento edilizio abusivo: realizzato in assenza di permesso di costruire (in violazione dell'art. 10 comma 1 lett. c) del D.P.R. 380/2001) e in contrasto con l'art. 43 NTA del PRG del Comune di Caneva che consente solo opere di manutenzione;

 

b) in ogni caso, che l'AIA venga revocata in quanto l'azienda agricola non ha presentato documentazione (relazioni LOD) idonea a comprovare le “condizioni rappresentative analoghe a quelle utilizzate nello studio modellistico”, violando così la prescrizione n. 7 dell'Allegato B del decreto concessivo dell'AIA;

 

c) in ogni caso, che l'AIA venga revocata in quanto non sono state coperte le vasche, in violazione della prescrizione n. 4 dell'Allegato B del decreto concessivo dell'AIA.
La Regione, sulla scorta del parere dell'Arpa, ha, però, rigettato la loro istanza.
Da qui il presente ricorso per l'annullamento di tali atti, entrambi in epigrafe compiutamente indicati, nonché per il risarcimento dei danni asseritamente patiti a causa e in conseguenza della loro adozione.
La domanda caducatoria è affidata ai seguenti motivi di diritto:
“Violazione e falsa applicazione dell'art. 3, l. 241/90: difetto di motivazione. Eccesso di potere per difetto di istruttoria e illogicità manifesta. Violazione dell'art. 29-decies comma 9 d. lgs. 152/2006 in relazione al mancato rispetto delle prescrizioni 4 e 7 dell'autorizzazione integrata ambientale”;
 

2. “Violazione dell'art. 29-decies comma 9 d. lgs. 152/2006 in relazione al mancato rispetto delle prescrizioni 4 e 7 dell'autorizzazione integrata ambientale sotto altro profilo”.

Nulla hanno dedotto, invece, i ricorrenti a sostegno dell'invocato ristoro dei danni asseritamente subiti, limitandosi unicamente a precisare che si riservano di quantificarli.

La Regione, costituita, ha rilevato che la legittimità dell'AIA risulta essere stata definitivamente accertata dal Consiglio di Stato con sentenza n. 3572/17 e che, quindi, sul punto è intervenuto oramai il giudicato.

Ha rilevato, inoltre, che il Comitato ha partecipato a tutta l'istruttoria propedeutica al rilascio dell'AIA ed ha avuto accesso a tutta la documentazione relativa, ivi compreso il contestato studio modellistico sulla base del quale è stato individuato in 55.000 il numero di polli rispettando il quale non si sarebbero superate le emissioni di ammoniaca. Se fosse, dunque, vero che lo studio modellistico non ha tenuto conto delle discusse aperture, è altrettanto vero che lo studio avrebbe dovuto essere impugnato con il decreto di rilascio dell'AIA di cui è parte integrante.

Ha svolto, poi, sintetiche deduzioni e concluso per la reiezione delle domande ex adverso azionate.

L'ARPA FVG, del pari costituita, dopo aver sinteticamente inquadrato la questione sotto il profilo normativo e fattuale, ha eccepito, in via preliminare: a) l'inammissibilità del ricorso promosso nei suoi confronti per carenza d'interesse, attesa la natura endo-procedimentale del parere emesso; b) la tardività “per intempestività della notifica del medesimo, stante che i contenuti tecnici eccepiti in causa afferiscono al Rapporto conclusivo della visita ispettiva AIA anno 2016 di cui i ricorrenti hanno piena conoscenza quantomeno dal 14.12.2017, mentre il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato notificato ad ARPA FVG 22 – 24 ottobre 2018. Né la richiesta di annullamento in via di autotutela inviata con pec il 27 giugno 2018 consente la riapertura dei termini per l'impugnazione perché costituirebbe inammissibile elusione delle norme che regolano l'ordinaria decorrenza dei termini decadenziali”.

Ha, poi, comunque diffusamente argomentato a sostegno della correttezza dell'attività tecnico/valutativa posta in essere, sulla cui scorta la Regione ha denegato alla ricorrente i provvedimenti di autotutela invocati, e concluso per la reiezione del ricorso.

La società controinteressata, costituita, ha eccepito, in via preliminare, l'irricevibilità delle censure rivolte al provvedimento regionale impugnato, laddove ha denegato l'annullamento dell'Aia, in quanto integranti un motivo (nuovo) di illegittimità del decreto A.I.A. n. 643/2015, palesemente tardivo.

Ha contestato, in ogni caso, la fondatezza di tutte le doglianze svolte da parte ricorrente e invocato il rigetto della domanda caducatoria.

Per quanto concerne la domanda di risarcimento danni ne ha eccepito, invece, l'inammissibilità per genericità.

I ricorrenti hanno, quindi, svolto, argomentazioni in replica ai rilievi preliminari delle controparti e insistito nelle difese già svolte.

Celebrata la pubblica udienza del 12 febbraio 2020, la causa è stata trattenuta in decisione.

Il ricorso è, in parte, irricevibile e, in parte, infondato per le ragioni di seguito esplicitate, motivi per cui il Collegio ritiene di poter prescindere dallo scrutinio degli ulteriori rilievi in rito formulati dalla Regione, dall'Arpa e dalla controinteressata.

Sono, innanzitutto, tardive le doglianze che i ricorrenti, ricorrendo all'escamotage dell'istanza di annullamento in autotutela (poi denegata dalla Regione), rivolgono a ben osservare all'AIA.

Come opportunamente rilevato dalle difese avversarie, vero è, infatti, che i medesimi avrebbero dovuto gravare a suo tempo il decreto n. 643/AMB del 24.04.2015 per i motivi che solo ora hanno, invece, proposto (ovvero la lamentata mancata considerazione nel modello teorico presentato le rilevantissime aperture (4 prese d'aria di 15 metri per un metro per ciascun capannone) presenti nell'impianto e, per altro verso, perché si tratta di un intervento edilizio abusivo: realizzato in assenza di permesso di costruire (in violazione dell'art. 10 comma 1 lett. c) del D.P.R. 380/2001) e in contrasto con l'art. 43 NTA del PRG del Comune di Caneva che consente solo opere di manutenzione), in quanto si tratta di vizi riguardanti verifiche e valutazioni effettuate nel corso del complesso procedimento esitato nel provvedimento con cui è stato assentito l'esercizio di attività di allevamento intensivo di n. 55.000 polli/ciclo presso l'impianto esistente in Comune di Caneva e che sin da allora avrebbero potuto, per l'appunto, essere rilevati e denunciati col ricorso a suo tempo proposto dagli odierni ricorrenti.

Il primo motivo di ricorso è, dunque, in parte qua irricevibile per tardività.
 

E', invece, infondato, laddove viene contestato il diniego di revoca, atteso che - in disparte il fatto che sotto il profilo sostanziale non paiono sussistere le denunciate violazioni delle prescrizioni n. 4 e n. 7 dell'Aia e ciò per le ragioni puntualmente esplicitate dalla difesa dell'Arpa, cui si rinvia - la piana lettura della disposizione di cui all'art. 29-decies, comma 9, del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, sulla quale ha richiamato l'attenzione la difesa della controinteressata, appalesa l'inconsistenza della pretesa avanzata in sede amministrativa dai ricorrenti, sul cui diniego i medesimi hanno, poi, ritenuto di fondare le ragioni del ricorso qui proposto.

La norma stabilisce, infatti, in maniera chiara e inequivoca che “In caso di inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie o di esercizio in assenza di autorizzazione, ferma restando l'applicazione delle sanzioni e delle misure di sicurezza di cui all'articolo 29-quattuordecies, l'autorità competente procede secondo la gravità delle infrazioni:

a) alla diffida, assegnando un termine entro il quale devono essere eliminate le inosservanze, nonché un termine entro cui, fermi restando gli obblighi del gestore in materia di autonoma adozione di misure di salvaguardia, devono essere applicate tutte le appropriate misure provvisorie o complementari che l'autorità competente ritenga necessarie per ripristinare o garantire provvisoriamente la conformità;

b) alla diffida e contestuale sospensione dell'attività per un tempo determinato, ove si manifestino situazioni che costituiscano un pericolo immediato per la salute umana o per l'ambiente o nel caso in cui le violazioni siano comunque reiterate più di due volte in un anno. Decorso il tempo determinato contestualmente alla diffida, la sospensione è automaticamente prorogata, finché il gestore non dichiara di aver individuato e risolto il problema che ha causato l'inottemperanza. La sospensione è inoltre automaticamente rinnovata a cura dell'autorità di controllo di cui al comma 3, alle medesime condizioni e durata individuate contestualmente alla diffida, se i controlli sul successivo esercizio non confermano che è stata ripristinata la conformità, almeno in relazione alle situazioni che, costituendo un pericolo immediato per la salute umana o per l'ambiente, avevano determinato la precedente sospensione;

c) alla revoca dell'autorizzazione e alla chiusura dell'installazione, in caso di mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e in caso di reiterate violazioni che determinino situazioni di pericolo o di danno per l'ambiente;

d) alla chiusura dell'installazione, nel caso in cui l'infrazione abbia determinato esercizio in assenza di autorizzazione”.
 

In particolare, ai fini che qui specificamente rilevano, è esplicita nel sanzionare con la revoca il mancato adeguamento alle prescrizioni imposte con la diffida e le reiterate violazioni che determinino situazioni di pericolo o di danno per l'ambiente, non, invece, la mera riscontrata inosservanza delle prescrizioni autorizzatorie.

Nel caso di specie, non consta, tuttavia, che tali presupposti si siano verificati in concreto, né che la ricorrente si sia peritata di fornire in alcun modo contezza di eventuali previe diffide impositive di prescrizioni per l'adeguamento a carico della controinteressata o della commissione da parte della medesima di reiterate violazioni, foriere di pericolo o danno per l'ambiente, limitandosi, piuttosto, unicamente a denunciare l'asserita inosservanza delle prescrizioni prescritte dall'AIA e a contestare, nel merito, le considerazioni tecniche formulate dall'Arpa nella nota informativa prot. 26384 del 18 luglio 2018, con cui la Regione ha corroborato, sotto il profilo motivazionale, la decisione assunta.

Ciò basta, quindi, per ritenere scevro da illegittimità il diniego di revoca qui opposto, che risulta, anzi, sorretto da una motivazione adeguata e intellegibile, ancorché sinteticamente esplicitata, laddove, per l'appunto, evidenzia, a chiare lettere, che “… prima di procedere alla revoca dell'Aia, … deve attenersi a quanto disposto dalla normativa statale, ovvero procedere secondo la gravità delle violazioni”.

In tale parte, il motivo va, quindi, respinto, in quanto, all'evidenza, destituito di fondamento.
 

Per analoghe ragioni, va respinto il secondo motivo, atteso che – al di là della sua formulazione alquanto generica – ripropone sostanzialmente censure già svolte, che non sono in grado, pur tuttavia, di intaccare il principio cardine sotteso all'applicazione delle misure sanzionatorie previste dal legislatore ovvero la commisurazione, nel caso concreto, della reazione sanzionatoria all'infrazione accertata, secondo un criterio di proporzionalità e progressivo inasprimento.

Sulla scorta delle considerazioni sin qui svolte, la domanda caducatoria va, in definitiva, in parte dichiarata irricevibile e, in parte, rigettata.

Ne deriva la pacifica reiezione della domanda risarcitoria, anche a prescindere da ogni considerazione sulle conseguenze derivanti dalla sua comunque palese genericità.

La particolarità della vicenda fattuale integra, in ogni caso, ad avviso del Collegio quei giustificati motivi, al ricorrere dei quali è possibile disporre la compensazione delle spese di lite, a prescindere dall'esito del giudizio.
Avv. Antonino Sugamele

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