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Sentenza

Trapani. Nella valutazione della chiamata in correità o in reità, il giudice, ancora prima di accertare l'esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l'art. 192 c.p.p., comma 3, alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale
Trapani. Nella valutazione della chiamata in correità o in reità, il giudice, ancora prima di accertare l'esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l'art. 192 c.p.p., comma 3, alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI TOMASSI Maria Stefania - Presidente -

Dott. SANTALUCIA Giuseppe - Consigliere -

Dott. MINCHELLA Antonio - Consigliere -

Dott. CENTONZE Alessandro - rel. Consigliere -

Dott. RENOLDI Carlo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) V.A., nato il (OMISSIS);

Avverso l'ordinanza emessa il 26/05/2018 dal Tribunale del riesame di Palermo;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Alessandro Centonze;

Sentite le conclusioni del Procuratore generale, nella persona di Dr. Cocomello Assunta, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;

Sentito per il ricorrente, l'avv. Raffaele Bonsignore e l'avv. Giuseppe Pantaleo, che hanno concluso per l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Con il provvedimento in epigrafe il Tribunale del riesame di Palermo, pronunciandosi ex art. 309 c.p.p., confermava l'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 10/05/2018 dal G.I.P. del Tribunale di Palermo nei confronti di V.A., per il reato di cui all'art. 416-bis c.p., commi 1, 3, 4, 5 e 6, commesso a (OMISSIS) e altre località delle provincie di Trapani e Palermo "sino alla data odierna".

All'indagato, in particolare, si contestava il ruolo di affiliato della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, nell'ambito della quale si occupava della gestione delle attività estorsive e della distribuzione tra i sodali dei relativi proventi, nel contesto di un più vasto raggruppamento egemonizzato sul territorio della Sicilia occidentale da M.D.M..

Occorre premettere che l'ordinanza cautelare genetica veniva emessa dal G.I.P. del Tribunale di Palermo a seguito del provvedimento di fermo di indiziato di delitto adottato dal G.I.P. del Tribunale di Marsala il 22/04/2018, che contestualmente si dichiarava incompetente ex art. 27 c.p.p. e trasmetteva gli atti all'omologo ufficio palermitano.

In questa cornice, il Tribunale del riesame di Palermo riteneva sussistenti i gravi indizi di colpevolezza del reato associativo contestato ad V.A., che era già stato condannato per la sua appartenenza a Cosa Nostra, sulla base delle dichiarazioni rese dal collaborante C.L. e delle attività di intercettazione di conversazioni svolte nel corso delle indagini preliminari, le quali venivano corroborate dal monitoraggio investigativo dell'indagato, effettuato tramite servizi di pedinamento e controllo.

Quanto alle dichiarazioni accusatorie del collaborante C.L., si evidenziava che, secondo il propalante, V.A. faceva parte di una delle due fazioni attive all'interno della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, riconducibile alla posizione egemonica di U.R., nell'ambito della quale intratteneva un rapporto privilegiato con G.A., un esponente storico dello stesso sodalizio.

Le propalazioni del collaborante C. venivano correlate alle captazioni eseguite nel corso delle indagini preliminari, tra le quali si attribuiva rilievo indiziario pregnante all'intercettazione ambientale registrata il 07/12/2013 tra L.C.V., B.V. e P.P.; nonchè alle intercettazioni ambientali captate il 03/06/2013 e il 03/01/2014, tra V.A. e G.A..

Si ritenevano, infine, sussistenti le esigenze cautelari indispensabili al mantenimento della custodia cautelare in carcere applicata ad V.A., in conseguenza dell'elevato disvalore dei fatti di reato che gli venivano contestati, del radicamento della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara nell'area trapanese e dello scenario criminale nel quale l'indagato operava, forte del suo rapporto privilegiato con G.A..

Sulla scorta di questi elementi indiziari il Tribunale del riesame di Palermo confermava l'ordinanza impugnata.

2. Avverso tale ordinanza V.A., a mezzo dell'avv. Giuseppe Pantaleo, ricorreva per cassazione, deducendo due motivi di ricorso.

Con il primo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto degli elementi costitutivi del reato associativo ascritto ad V.A., ai sensi dell'art. 416-bis c.p., commi 1, 3, 4, 5 e 6, la cui sussistenza veniva riconosciuta sulla base di dati presuntivi, riconducibili alla sua precedente affiliazione a Cosa Nostra, senza alcuna attualizzazione del compendio indiziario acquisito nei suoi confronti.

Con il secondo motivo si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di percorso argomentativo inidoneo a formulare un giudizio di gravità indiziaria nei confronti del ricorrente, tenuto conto delle incertezze riguardanti il ruolo associativo svolto dall'indagato in seno alla famiglia mafiosa di Campobello di Mazara e dalle condotte che attestavano tale posizione consortile, su cui il Tribunale del riesame di Palermo si era espresso in termini congetturali e svincolati dalle emergenze indiziarie.

Si deduceva, in proposito, che le dichiarazioni accusatorie del collaborante C., relativamente alla posizione di V., risultavano generiche e non erano riscontrate estrinsecamente dagli elementi indiziari acquisiti nel corso delle indagini preliminari, che si limitavano a registrare degli incontri tra il ricorrente e alcuni esponenti del suo ambiente, da cui non era possibile trarre alcuna indicazione nella direzione accusatoria, finalizzata a dimostrare l'affiliazione dell'indagato alla famiglia mafiosa di Campobello di Mazara.

Queste ragioni imponevano l'annullamento dell'ordinanza impugnata.
Motivi della decisione

1. Il ricorso proposto da V.A. è fondato nei termini di seguito indicati.

2. In via preliminare, allo scopo di inquadrare le questioni ermeneutiche sottoposte all'attenzione del Collegio, in relazione alle propalazioni del collaboratore di giustizia C.L., che costituiscono il nucleo probatorio essenziale su cui si fonda il giudizio di gravità indiziario espresso dal Tribunale del riesame di Palermo, è necessario richiamare il principio di diritto affermato dalle Sezioni unite, secondo cui: "Nella valutazione della chiamata in correità o in reità, il giudice, ancora prima di accertare l'esistenza di riscontri esterni, deve verificare la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni, ma tale percorso valutativo non deve muoversi attraverso passaggi rigidamente separati, in quanto la credibilità soggettiva del dichiarante e l'attendibilità oggettiva del suo racconto devono essere vagliate unitariamente, non indicando l'art. 192 c.p.p., comma 3, alcuna specifica tassativa sequenza logico-temporale" (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, Rv. 255145).

Questo orientamento ermeneutico, com'è noto, si inserisce in un filone giurisprudenziale ormai consolidato, che è possibile esplicitare richiamando il seguente principio di diritto: "In tema di chiamata in reità, poichè la valutazione della credibilità soggettiva del dichiarante e quella della attendibilità oggettiva delle sue dichiarazioni non si muovono lungo linee separate, posto che l'uno aspetto influenza necessariamente l'altro, al giudice è imposta una considerazione unitaria dei due aspetti, pur logicamente scomponibili; sicchè, in presenza di elementi incerti in ordine all'attendibilità del racconto, egli non può esimersi dal vagliarne la tenuta probatoria alla luce delle complessive emergenze processuali, in quanto - salvo il caso estremo di una sicura inattendibilità del dichiarato - il suo convincimento deve formarsi sulla base di un vaglio globale di tutti gli elementi di informazione legittimamente raccolti nel processo" (Sez. 6, n. 11599 del 13/03/2007, Pelaggi, Rv. 236151; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 2, n. 21599 del 16/02/1999, Emmanuello, Rv. 244541).

In questa cornice, le chiamate in correità o in reità, in quanto contenute nelle dichiarazioni eteroaccusatorie rese da uno dei soggetti processuali indicati nell'art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, non possono che soggiacere ai criteri di valutazione della prova previsti da tale disposizione, nel senso che la loro credibilità soggettiva e la loro attendibilità intrinseca devono trovare conferma in altri elementi di prova, con la conseguente accentuazione, conformemente all'espressa previsione del primo comma dello stesso articolo, dell'obbligo di motivazione del convincimento del giudice, da intendersi come espressione di un giudizio unitario e non frazionabile sulle propalazioni oggetto di vaglio.

Tale arresto giurisprudenziale, inoltre, nel solco di un orientamento ermeneutico, collegato e parimenti consolidato, ribadisce che, ai fini della corretta valutazione del mezzo di prova di cui si sta discutendo, la metodologia a cui il giudice di merito deve conformarsi non può che essere quella trifasica, fondata sulla valutazione della credibilità del dichiarante, desunta dalla sua personalità, dalle sue condizioni socio-economiche e familiari, dal suo passato, dai rapporti con l'accusato, dalla genesi remota e prossima delle ragioni che lo hanno indotto all'accusa nei confronti del chiamato; dalla valutazione dell'attendibilità intrinseca della chiamata oggetto di vaglio giurisdizionale, fondata sui criteri della precisione, della coerenza, della costanza e della spontaneità; dalla verifica esterna dell'attendibilità della dichiarazione accusatoria, effettuata attraverso l'esame di elementi estrinseci di riscontro alla stessa chiamata, idonei ad attestarne la veridicità (Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, Marino, Rv. 192465).

Quanto, infine, alla tipologia e all'oggetto dei riscontri probatori, la genericità del riferimento agli elementi di prova da parte dell'art. 192 c.p.p., comma 3, legittima l'interpretazione secondo cui, in questo ambito, vige il principio della libertà degli elementi di riscontro estrinseco, nel senso che questi, non essendo predeterminati nella specie e nella qualità, possono essere di qualsiasi tipo e natura, ricomprendendo non soltanto le prove storiche dirette, ma ogni altro elemento probatorio, anche indiretto, legittimamente acquisito al processo penale e idoneo, sul piano della mera consequenzialità logica, a corroborare, nell'ambito di una valutazione probatoria necessariamente unitaria, il mezzo di prova ritenuto bisognoso di conferma (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, Aquilina, cit.).

Ne discende che il riscontro estrinseco alla chiamata in correità o in reità di un propalante può essere offerto anche dalle dichiarazioni di analoga natura rese da uno o più degli altri soggetti indicati nella richiamata disposizione. Infatti, qualunque elemento probatorio, diretto o indiretto che sia, purchè estraneo alle dichiarazioni che devono essere riscontrate, può essere legittimamente utilizzato a conferma della loro attendibilità, che dovrà essere vagliata rigorosamente dal giudice, verificando l'attendibilità intrinseca di ogni singola dichiarazione e la sua attitudine a fungere da riscontro estrinseco di quella - o di quelle - che lo stesso giudice ritenga di porre a fondamento, con valenza primaria o paritaria rispetto alle prime, della propria decisione (Sez. U, n. 20804 del 29/11/2012, dep. 2013, Aquilina, cit.).

Tenuto conto di questi parametri ermeneutici occorre esaminare le doglianze relative ai fatti di reato contestati all'indagato V.A., incentrate sul giudizio di gravità indiziaria espresso dal Tribunale del riesame di Palermo e sulla sull'inattendibilità, intrinseca ed estrinseca, delle propalazioni del collaborante C.L..

3. Nella cornice che si è descritta nel paragrafo precedente, occorre esaminare congiuntamente le censure proposte con i due motivi di ricorso, che riguardano il giudizio di gravità indiziaria formulato dal Tribunale del riesame di Palermo nei confronti di V.A., rispetto al quale non è possibile una valutazione frazionata del compendio probatorio posto a fondamento dell'ordinanza cautelare genetica.

Osserva anzitutto il Collegio che, sulla credibilità soggettiva e sull'attendibilità intrinseca delle propalazioni del collaborante C.L., il giudizio espresso dal Tribunale del riesame di Palermo appare ineccepibile, risultando fondato su una ricostruzione logico-processuale del suo narrato congrua e conforme ai parametri ermeneutici richiamati nel paragrafo 2, cui occorre rinviare.

Possiamo, pertanto, ritenere corretta la valutazione del nucleo dichiarativo essenziale delle propalazioni del collaborante C., secondo cui V.A. faceva parte di una delle due fazioni operanti all'interno della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, riconducibile alla figura egemonica di U.R., nell'ambito della quale operava forte del suo rapporto privilegiato con G.A., che era un esponente storico della consorteria mazarese.

Effettuato positivamente questo primo vaglio delle propalazioni del collaborante C., che consentono di ritenere il suo narrato credibile soggettivamente e attendibile intrinsecamente, occorre compiere un'ulteriore verifica, finalizzata a ritenere riscontrate estrinsecamente le dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia nei confronti di V.A..

A tale quesito occorre fornire risposta negativa.

Deve, in proposito, rilevarsi che, secondo quanto affermato dal Tribunale del riesame di Palermo, le propalazioni del collaborante C. risultano riscontrate dalle captazioni eseguite nel corso delle indagini preliminari, tra le quali rilievo indiziario decisivo si attribuiva all'intercettazione ambientale registrata il 07/12/2013 tra L.C.V., B.V. e P.P.; nonchè alle intercettazioni ambientali captate il 03/06/2013 e il 03/01/2014, tra V.A. e G.A..

Tuttavia, il Tribunale del riesame di Palermo si limitava a esporre il contenuto delle captazioni sopra richiamate e ad affermarne la valenza indiziaria senza enucleare i dati circostanziali, desumibili da tali colloqui, idonei a ritenere riscontrate le propalazioni di C. e senza chiarire la rilevanza di queste conversazioni nel contesto della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, rispetto al quale occorreva ulteriormente precisare l'arco temporale in cui si concretizzava l'affiliazione del ricorrente.

Quanto, in particolare, all'intercettazione ambientale registrata il 07/12/2013 tra L.C.V., B.V. e P.P., citata pagina 6 dell'ordinanza impugnata, a tale colloquio, così come riportato dal Tribunale del riesame di Palermo, deve essere attribuita una valenza neutra, atteso che i riferimenti al soggetto indicato come " A." o "(OMISSIS)" non consentono di comprendere, quand'anche fosse certa la riconducibilità di tale appellativi al ricorrente, quale ruolo associativo doveva essere attribuito all'indagato, alla luce delle propalazioni del collaborante C.L., nell'ambito della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara.

Considerazioni analoghe valgono per l'intercettazione ambientale registrata il 03/01/2014, tra V.A. e G.A., alla quale il Tribunale del riesame di Palermo attribuire valenza probatoria, senza correlare il contenuto di tale captazione e le propalazioni del collaborante C., che, come detto, costituivano il nucleo indiziario essenziale del giudizio di gravità indiziaria formulato nei confronti del ricorrente. Anche in questo caso, infatti, ci si limitava a riportare testualmente i passaggi salienti della conversazione senza esplicitare le ragioni che consentivano di ritenere il colloquio tra V. e G. idoneo a corroborare il narrato di C., nel contesto associativo della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara di cui si controverte.

Infine, priva di rilievo, ai presenti fini, deve ritenersi la conversazione intercettata il 03/06/2013, atteso che, sulla sua valenza indiziaria e sulla sua correlazione con le propalazioni di C., il Tribunale del riesame di Palermo non si soffermava, nemmeno per relationem.

In questa cornice, la verifica compiuta dal Tribunale del riesame di Palermo non risulta fondata su una valutazione corretta del giudizio di gravità indiziaria espresso nei confronti di V.A. e dell'attendibilità estrinseca delle propalazioni del collaboratore di giustizia C.L., il cui narrato anche applicando la giurisprudenza consolidata di questa Corte in tema di valutazione frazionata (Sez. 6, n. 6425 del 18/12/2009, dep. 2010, Caramuscio, Rv. 246527; Sez. 1, n. 4495 del 21/04/1997, Di Corrado, Rv. 207590) - non appare, in assenza di elementi indiziari che ne riscontrino le propalazioni, convergente sulla posizione associativa del ricorrente, sulla quale si impone un nuovo esame, che permetta di individuare con esattezza il ruolo consortile svolto dall'indagato e l'arco temporale nel quale si sarebbe concretizzata tale affiliazione.

4. Le ragioni che si sono esposte impongono l'annullamento dell'ordinanza impugnata, con il conseguente rinvio al Tribunale del riesame di Palermo, affinchè proceda a un nuovo esame che tenga conto dei principi che si sono enunciati.

Consegue, infine, a tali statuizioni processuali, la trasmissione, a cura della cancelleria, di copia del presente provvedimento al direttore dell'istituto penitenziario dove il ricorrente si trova ristretto, a norma dell'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.
P.Q.M.

Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Palermo competente ex art. 309 c.p.p..

Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al direttore dell'istituto penitenziario, ai sensi dell'art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 11 gennaio 2019
Avv. Antonino Sugamele

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